Abbiamo condiviso pensieri ed impressioni sui libri suggeriti la volta scorsa:
- Tiziano Terzani, Un indovino mi disse – TEA
- Venedikt Eroféev, Mosca-Petuski. Poema ferroviario – Quodlibet
- Emmanuel Carrére, Limonov – Adelphi
- Vasilij Grossman, Vita e destino – Adelphi
Abbiamo definito un calendario dei prossimi incontri:
- 26 maggio 2016, area geografica: il Giappone
- 16 giugno 2016, libro condiviso: Haruki Murakami, L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio - Einaudi
Altri testi consigliati durante la serata:
- Haruki Murakami, Uomini senza donne - Einaudi
- Doris Dorrie, L’uomo dei miei sogni – La tartaruga
- Vermes Timur, Lui è tornato – Bompiani
- Marco Missiroli, Atti osceni in luogo privato – Feltrinelli
- John E. Williams, Stoner – Fazi
- Kader Abdalah, La casa della moschea – Iperborea
- Kader Abdalah, Scrittura cuneiforme – Iperborea
- Inoue Yasushi, Il fucile da caccia – Adelphi
PENSIERI DONATI, TRATTI DA “UN INDOVINO MI DISSE” DI TIZIANO TERZANI…
Una buona occasione nella vita si presenta sempre. Il problema è saperla riconoscere e a volte non è facile.
Uno non ha bisogno di credere alle previsioni del tempo per uscire di casa con l’ombrello in una giornata nuvolosa. La pioggia è una possibilità, l’ombrello una precauzione.
Perché provocare la sorte se proprio quella ti fa cenno, ti dà un suggerimento? Al tavolo della roulette quando il nero è uscito tre o quattro volte di seguito ci sono giocatori che, contando sulle probabilità statistiche, puntano allora tutto quel che hanno sul rosso. Io no. Ripunto sul nero. Non è in questo senso che la pallina mi ha fatto l’occhiolino?
La profezia era la scusa. La verità è che uno a cinquantacinque anni ha una gran voglia di aggiungere un pizzico di poesia alla propria vita, di guardare al mondo con occhi nuovi, di rileggere i classici, di riscoprire che il sole sorge, che in cielo c’è la luna e che il tempo non è solo quello scandito dagli orologi. Questa era la mia occasione e non potevo lasciarmela scappare.
A far finta, per un po’, d’esser ciechi si scopre che, per compensare la mancanza della vista, tutti gli altri sensi si affinano.
Tutto è diventato così’ facile oggi che non si prova più piacere per nulla. Il capire qualcosa è una gioia, ma solo se è legato a uno sforzo.
La profezia che mi riguardava mi dava la possibilità di esplorare i vari metodi, di battere nuove vie della conoscenza, e di affrontare questo strano mondo di mistero tante volte intuito, intravisto, sfiorato, ma mai preso abbastanza sul serio.
Forse è un fenomeno generale. Ora che i rapporti di gruppo diventano più frammentari, che la natura recede sempre più dalla vita quotidiana della gente, ora che la soluzione di tutti i problemi è esclusivamente delegata alla scienza, ora che la morte è sempre più un tabù rimosso dalla vita e non è più vissuta coralmente, la gente è sempre più incerta sul senso del destino e cerca consolazione, comprensione, speranza, amicizia dove può.
Nel Siddharta di Hermann Hesse uno dei tanti bellissimi passaggi è quello in cui il principe, che diventa presto Buddha, l’Illuminato, è seduto sulla riva del fiume e capisce che, senza più la misura del tempo, il passato e il futuro sono sempre presenti, come il fiume che allo stesso momento è là dove lo si vede, ma è anche alla sorgente e alla foce. L’acqua che ha ancora da passare è il domani, ma c’è già, a monte, quella che è scivolata via è l’ieri, ma c’è ancora, altrove, a valle.
Da una parte il passato dove tutti vogliono strappare i laotiani, dall’altra il futuro verso cui tutti credono di dover correre. Su quale sponda la felicità?
Nella tradizione cinese, la tartaruga ha un altro grande valore: è il simbolo del cosmo. La parte inferiore del guscio è un quadrato, la terra; quella superiore è un globo, il cielo. La tartaruga dunque racchiude in sé la totalità di spazio e di tempo e, siccome chi domina questi due elementi può capire il passato e leggere il futuro, la tartaruga è stata da sempre utilizzata nella divinazione.
Forse in ogni uomo c’è un primordiale, istintivo bisogno, ogni tanto, di imporsi dei limiti, di scommettere con delle difficoltà, per poi sentire di essersi “meritato” qualcosa di desiderato.
Il caso? Difficile dire che non esiste, ma in qualche modo mi andavo convincendo che gran parte di quel che sembra succedere appunto “per caso”, siamo noi che lo facciamo accadere; siamo noi che, una volta cambiati gli occhiali con cui guardiamo il mondo, vediamo ciò che prima ci sfuggiva e per questo credevamo non esistesse. Il caso, insomma, siamo noi.
A me è sempre piaciuta la storia del Buddha che arriva a un fiume, la gente gli chiede di traversarlo camminandoci sopra, e lui, indicando la barca, dice: “con quella è più semplice”.
Il positivo entra ed esce dalla testa. Il negativo lascia un dubbio strisciante, un’inquietudine sorda; perché la paura è in fondo della condiziona umana.
Il pericolo è nella vita stessa, anche tu sei nato per morire.
Ogni posto è una miniera. Basta lasciarsi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.
La depressione diventa un diritto, quando uno si guarda attorno e non vede niente o nessuno che lo ispiri, quando il mondo sembra scivolare via in una gora di ottusità e di grettezza materialista. Non ci sono più ideali, non ci sono più fedi, non ci sono più sogni. Non c’è più niente di grande in cui credere; non un maestro cui rifarsi.
La musica sembra ormai fatta per arrivare alle orecchie, non all’anima; la pittura è spesso un’offesa agli occhi; la letteratura, anche lei, è sempre più dominata dalle leggi del “mercato”. E chi legge più poesia? Il suo valore esaltante è stato dimenticato! Eppure una poesia può accendere nel petto un calore, forte come quello dell’amore. Una poesia, meglio di tutti i whiskies, meglio del Valium e del Prozac, potrebbe “tirare su”, sollevare l’animo, perché alza il punto di vista da cui guardare il mondo. Quando ci si sente soli ci sarebbe da trovare più compagnia nel leggere dei bei versi che nell’accendere la televisione!
Come alla roulette: c’è sempre qualcuno che ha messo la sua posta sul numero che esce. Ma al gioco successivo quel qualcuno è un altro.
Viaggiare ha senso solo se si torna con qualche risposta nella valigia.
Il saggio sa che la vita non è che una fiammella scossa da un vento violento.
Ciascuno dovrebbe, ogni tanto, riaffermare il diritto al silenzio, per risentire se stesso, per riflettere e ritrovare un po’ di sanità.
Ora toccava a me. Avevo messo la cavezza a questa bestia che era la mia mente; si trattava di decidere in che direzione cavalcare.
Da qualche parte c’è qualcuno, per il quale nessuno ha votato, che spinge perché il mondo giri sempre più alla svelta, perché gli uomini diventino sempre più uguali in nome di una roba chiamata «globalizzazione» di cui pochi conoscono il significato e ancor meno hanno detto di volere.
È nell’armonia fra le diversità che il mondo si regge, si riproduce, sta in tensione, vive. Per questo c’è una qualche ragione di rimpiangere il comunismo, non in quanto tale, ma in quanto alternativa, contrapposizione. Senza più quello, s’è creato oggi nel mondo uno squilibrio e la stessa parte che crede di aver vinto soffre ora di quella mancanza di tensione che dopotutto stimolava la sua creatività.
Appena si decide di farne a meno, ci si accorge di come gli aerei ci impongono la loro limitata percezione dell’esistenza; di come, essendo una comoda scorciatoia di distanze, finiscono per scorciare tutto: anche la comprensione del mondo.
Oggi le alternative di ciascuno sono molte di più, la mobilità sociale ha aperto a tutti la possibilità di aspirare a qualsiasi cosa, ma con ciò nessuno è più «predestinato » a nulla. È forse per questo che la gente è sempre più disorientata e incerta sul senso della propria vita.
Libero dalla routine di tutti i giorni, senza alcun dovere tranne quello con la propria coscienza, la mente si acquieta, riaffiorano pensieri inutili, pensieri piacevoli, impressioni sconnesse e al fondo una grande gioia.
Tutto è diventato così facile oggi che non si prova più piacere per nulla. Il capire qualcosa è una gioia, ma solo se legato a uno sforzo. Così con i paesi. Leggere una guida, saltando da un aeroporto all’altro, non equivale alla lenta, faticosa acquisizione – per osmosi – degli umori della terra cui, con il treno, si rimane attaccati.
Ho scoperto prestissimo che i migliori compagni di viaggio sono i libri: parlano quando si ha bisogno, tacciono quando si vuole silenzio.
Fanno compagnia senza essere invadenti. Danno moltissimo, senza chiedere nulla.
Dopo cena m’ero messo a poppa, sdraiato sulla assi di legno.
Con lo sguardo perso nell’infinità del cielo, ero distratto solo dai pensieri che giocavano a rincorrersi e mi parve che, grazie all’indovino di Hong Kong, stavo ritrovando non solo il piacere di viaggiare, ma anche quello di vivere.
Non avevo più angosce, non sentivo come un dramma il passare delle giornate, ascoltavo chi mi parlava, godevo di quel che mi succedeva attorno, avevo agio per mettere ordine nelle mie impressioni, per riflettere.
Avevo tempo e silenzio: qualcosa di così necessario, di così naturale, ma ormai diventato un lusso che solo pochissimi riescono a permettersi.
Per questo dilaga la depressione!
Ogni posto è una miniera. Basta lasciarcisi andare. Darsi tempo, stare seduti in una casa da tè a osservare la gente che passa, mettersi in un angolo del mercato, andare a farsi i capelli e poi seguire il bandolo di una matassa che può cominciare con una parola, con un incontro, con l’amico di un amico di una persona che si è appena incontrata e il posto più scialbo, più insignificante della terra diventa uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro d’umanità dinanzi al quale ci si potrebbe fermare senza più il bisogno di andare altrove. La miniera è esattamente là dove si è: basta scavare.